Arco Jonico, Lauria: “La terra che si divide per non contare”
La mania della contrapposizione che uccide ogni progetto
C’è un vizio antico che continua a logorare la nostra terra: la mania della contrapposizione. Non appena qualcuno prova a immaginare un progetto, subito nasce la sua ombra, un controprogetto, un’idea speculare che non costruisce ma smonta. È una sindrome di scontrosità cronica, una malattia culturale che ha il sapore amaro dell’autolesionismo. E così, invece di camminare insieme, ci si scanna a ogni bivio, e alla fine non si muove nulla. Per anni, si è parlato di una provincia capace di guardare oltre i vecchi confini, di costruire un’area vasta, forte, con numeri e peso politico: la provincia della Magna Grecia. Una visione moderna, fondata su logiche demografiche e strategiche, capace di dare voce alla Sibaritide e alla Crotoniate unite. L’obiettivo era semplice: superare i campanilismi, sommare forze, diventare una provincia con oltre 400mila abitanti, finalmente in grado di dialogare alla pari con le altre realtà calabresi. Parlo al passato perché anche con le nuove generazioni politiche, anagrafiche o non anagrafiche, nulla cambierà.
Eppure, bastato appena un accenno di progettualità che già qualcuno ha riaperto i cassetti del passato, riesumando il fantasma della vecchia “provincia Sibariti-Pollino”. Una creatura logora, nata male e bocciata dai fatti. Ma in questa terra basta che un’idea cominci a prendere forma perché subito se ne accampi un’altra, contraria, sterile, vecchia, inutile. È un riflesso condizionato: se uno propone, l’altro deve opporsi. E così ogni processo di crescita muore nel grembo delle rivalità.
La proposta della Magna Grecia aveva — e ha — un senso concreto. Non è un sogno campanilistico, ma un’idea basata sui numeri e sulle esigenze di sviluppo. Dentro c’è una visione infrastrutturale: collegare la Sibaritide e la Crotoniate, potenziare la statale 106, costruire una rete di mobilità moderna che dia finalmente respiro alle due aree. Il cuore della proposta è l’aeroporto di Crotone, da rilanciare come motore di un sistema integrato. Una “metropolitana leggera” Sibari-Crotone che unisca territori e persone, una dorsale logistica che permetta di uscire dall’isolamento.
Ma ecco che, invece di discutere di come rendere reale tutto questo, si torna a parlare di un aeroporto a Sibari. Una proposta già bocciata più volte, ignorata dall’ENAC, priva di basi tecniche e numeriche. Un’idea morta che qualcuno ostinatamente vuole resuscitare, come se il solo atto di opporsi bastasse a sentirsi vivi. Non si tratta di visione, ma di puro riflesso politico: dire no per restare nel gioco, anche quando il gioco è quello dei poteri centralisti che vogliono una Calabria debole, frammentata e irrilevante.
Chi si oppone al progetto della Magna Grecia, consapevolmente o meno, gioca la partita di chi vuole mantenere lo status quo. E lo status quo, qui, è il nulla. La divisione è l’arma di chi non vuole che la Calabria conti. Ogni volta che ci si spacca, si offre al centro un alibi perfetto per non fare. Perché Cosenza e Catanzaro osservano, sorridono e lasciano che la periferia litighi. Non serve negare: chi è agganciato ai poteri centrali trova nella contrapposizione un modo elegante per dire no a ogni cambiamento. E così rimaniamo la Sibaritide suppellettile di Cosenza e Crotone di Catanzaro.
C’è poi un’altra questione, più sottile ma non meno grave: la povertà di conoscenza. Si parla di aeroporti, di province, di infrastrutture, ma senza mai leggere un dato, senza uno studio economico, senza una valutazione seria dei flussi, dei costi, delle ricadute. Tutto si regge su opinioni, slogan e personalismi. È il trionfo dell’improvvisazione, la sconfitta della competenza. Persino sulla realizzazione della nuova Provincia: in agenda del governo Meloni si sente parlare di nuove province? E’ solo nella testa jonica questa proposta. Cosa diversa è la proposta Magna Graecia che non crea una nuova provincia perché nasce dalle ceneri di Crotone.
Vorrebbe quasi venir voglia di chiedere: chi propone l’aeroporto di Sibari, ha mai calcolato i costi di gestione? Sa cosa significa mantenere una pista, una torre di controllo, un servizio antincendio, un sistema di sicurezza? O si pensa ancora che basti “volerlo” perché accada? Se il mercato non sostiene l’opera, se i passeggeri non ci sono, se i numeri non tornano, quel sogno diventa un debito, e a pagarlo sono i cittadini. Parlare di infrastrutture senza dati è un lusso che non possiamo più permetterci.
Lo Stato, oggi, non finanzia più a occhi chiusi. Ha aziendalizzato tutto. Le opere devono produrre numeri, devono stare in piedi da sole. È una logica che può piacere o no, ma è la realtà: se un’infrastruttura non genera flussi, viene tagliata. Questo principio, avviato già con Berlusconi e consolidato con Prodi, ha attraversato governi e schieramenti, diventando regola. E allora, di fronte a questo scenario, serve intelligenza, non romanticismo tanto meno servilismo. Serve capire dove conviene investire, non dove fa comodo mettere una bandiera politica.
Il dramma è che qui si continua a discutere come se il mondo non fosse cambiato. Mentre altrove si ragiona in termini di sistema, di rete, di aree vaste, qui si torna a sognare il piccolo feudo, la provincia del campanile, l’aeroporto del cortile. È un provincialismo che si traveste da autonomia ma che in realtà è sudditanza. Perché chi si isola, chi si divide, finisce sempre per dipendere da qualcun altro.
E così, mentre la Calabria reale si svuota, mentre i giovani se ne vanno, mentre le imprese chiudono, noi continuiamo a litigare sul nulla. Non c’è visione, non c’è studio, non c’è cultura politica. Solo reazioni, risentimenti, parole. E chi prova a costruire viene accusato di avere secondi fini, come se la progettualità fosse un peccato.
Sarebbe ora di cambiare metodo, non solo parole. Di leggere, di studiare, di capire come funzionano davvero i processi di sviluppo. Di parlare con i numeri in mano, non con i comunicati. Perché chi ignora i dati è condannato a ripetere gli errori. E questa terra, di errori, ne ha già accumulati troppi.
Finché continueremo a contrapporci a ogni proposta, finché la reazione sarà più forte della ragione, resteremo un territorio che si spegne da solo. La Calabria ha bisogno di concretezza, non di rivalità. Di idee che si sommano, non che si cancellano a vicenda. E allora sì, questa mania di scontrosità è la nostra condanna più profonda. Non servono nemici: ce li costruiamo da soli.
Matteo Lauria