Elezioni Calabria, Lauria: ” Muti che si candidano”

Il vuoto della politica e l’inganno delle candidature
Il Consiglio regionale dovrebbe essere il cuore pulsante della programmazione e della progettazione di un territorio. Un organo chiamato a redigere piani, a orientare lo sviluppo, a garantire coerenza alle scelte strategiche. Eppure, il quadro che si ripresenta ad ogni tornata elettorale è desolante: liste riempite in fretta, candidature improvvisate, facce note per la loro assenza piuttosto che per la loro presenza nel dibattito pubblico. Non è un paradosso: è la normalità italiana, soprattutto nelle aree dove la fragilità sociale si intreccia con il clientelismo politico. Il cittadino osserva, quasi assuefatto, l’apparizione ciclica di soggetti che per mesi, se non anni, non hanno mai preso posizione su nulla, non hanno animato un dibattito, non hanno difeso un’idea. Eppure eccoli: pronti a candidarsi, a chiedere fiducia, a occupare una poltrona che pesa per le conseguenze che porta con sé.
L’assenza delle scuole di partito
Perché accade tutto questo? Una delle cause principali è la fine delle scuole di partito. Non esiste più un luogo in cui si seleziona, si forma, si mette alla prova la classe dirigente. Non esiste più un percorso di crescita che parta dal basso, che educa al dibattito, che abitua al sacrificio. I partiti, svuotati e ridotti a comitati elettorali, non educano più nessuno. Non trasmettono più cultura politica, non insegnano più la grammatica del governo. Sono macchine elettorali al servizio di pochi leader, apparati deboli che si nutrono di relazioni personali, di reti clientelari, di consensi effimeri. In questo vuoto si infilano figure che non hanno nulla da dire, ma che vedono nella politica un’occasione di carriera, di contrattazione, di potere personale.
Candidature dal nulla
La pratica è ormai consolidata: sparire dalla scena pubblica, evitare di esporsi sui temi scomodi – criminalità organizzata, sanità, istruzione, ambiente, lavoro – e poi spuntare al momento giusto, con la candidatura in mano. Una candidatura che non nasce da un impegno costante, ma da logiche di appartenenza, da segnalazioni, da equilibri interni. Non c’è dibattito, non c’è coraggio, non c’è progetto. Il candidato medio è assente dalla vita sociale ma puntuale nell’appuntamento con il seggio. Un cortocircuito che svuota di senso la politica e che rende sterile l’istituzione.
Il disimpegno travestito da militanza
Non si può vivere il quotidiano nel disimpegno più totale e poi pretendere di incarnare la rappresentanza politica. La politica richiede presenza, fatica, capacità di prendersi responsabilità anche quando queste bruciano. La candidatura improvvisata non è soltanto un’offesa al buon senso, ma una ferita alla dignità dell’elettore. È un modo di intendere la cosa pubblica come una riserva personale, un territorio da occupare per convenienza, non per vocazione.
La responsabilità del corpo elettorale
Qui si apre un tema più profondo: la maturità del corpo elettorale. Se il cittadino accetta questo gioco, se vota senza discernimento, se si lascia guidare da amicizie, parentele, promesse, allora il problema non è solo della politica, ma della società intera. Il voto non è un gesto neutro. È uno strumento di potere. È l’atto con cui si decide chi scriverà le regole, chi programmerà lo sviluppo, chi gestirà risorse pubbliche. Se questo strumento viene esercitato senza consapevolezza, diventa un’arma spuntata, che non incide e non seleziona. Da qui la riflessione: può un corpo elettorale immaturo determinare il futuro di un’intera comunità? Non sarebbe necessario immaginare criteri più selettivi, che valorizzino la conoscenza, la competenza, la consapevolezza?
Il peso dell’ignoranza sociale
Su ampie porzioni del tessuto sociale prevale l’ignoranza. Non una colpa individuale, ma il risultato di decenni di impoverimento culturale, di disaffezione, di abbandono. Su questa ignoranza si costruiscono carriere politiche. Su questa fragilità si innestano percorsi che portano, inevitabilmente, a scandali e inchieste. La politica diventa il terreno fertile per malfattori che usano il potere come scudo, per poi cadere nel disonore quando la magistratura interviene. È un copione che si ripete: prima l’ascesa grazie a un elettorato inconsapevole, poi la caduta quando emergono affari torbidi e clientele.
Il fallimento delle istituzioni intermedie
Un tempo esistevano corpi intermedi capaci di selezionare la classe dirigente: sindacati, associazioni, partiti veri. Oggi questi strumenti sono svuotati. Ciò che resta è un deserto di rappresentanza. Il cittadino non trova più luoghi di partecipazione autentica, non viene educato al confronto. Il risultato è la delega passiva: si vota chi capita, si sceglie senza conoscere, si conferma l’esistente perché non si intravedono alternative. Una società rassegnata alimenta una politica mediocre.
L’inganno del rinnovamento
Ogni lista promette rinnovamento. Ma il rinnovamento non può essere un semplice ricambio di nomi. Non basta sostituire un volto con un altro se non cambia il metodo, se non si recupera il senso della politica come servizio. Il rinnovamento vero è culturale, etico, morale. È il ritorno alla formazione, alla selezione per merito, alla costruzione di un pensiero collettivo. Senza questo, ogni promessa è vuota.
Il rischio di un voto ridotto a contratto personale
Nella pratica attuale il voto si riduce spesso a un contratto personale. Si vota non per un’idea, ma per un favore, per un interesse, per un tornaconto immediato. La politica diventa mercato, scambio, contrattazione. Così la rappresentanza perde la sua natura più autentica e si trasforma in potere privato. Una degenerazione che mina la credibilità delle istituzioni e alimenta la distanza tra cittadini e politica.
La necessità di un’epurazione delle coscienze
Non ci sarà cambiamento se non ci sarà una presa di coscienza collettiva. Ogni cittadino è chiamato a un atto di responsabilità: riconoscere il valore del proprio voto, selezionare con consapevolezza, respingere i candidati improvvisati. Un’epurazione delle coscienze è necessaria. Non si tratta di moralismo, ma di sopravvivenza democratica. Senza questo scatto, il sistema continuerà a riprodurre sé stesso, con le stesse facce, gli stessi silenzi, gli stessi scandali.
Conclusione: la politica come specchio della società
Il vuoto della politica è lo specchio del vuoto della società. Una comunità disimpegnata, rassegnata, priva di coscienza critica, non può che generare una classe dirigente mediocre. Il punto non è soltanto chiedere più qualità ai politici, ma pretendere più maturità dal corpo elettorale. La politica non è altro che la proiezione della società che la esprime. Se la società accetta il silenzio, la mediocrità e il disimpegno, allora sarà rappresentata da silenzi, mediocrità e disimpegno. L’alternativa c’è: ricostruire spazi di formazione, scuole di partito, luoghi di confronto. Riaccendere la passione politica, restituire dignità al voto, educare alla partecipazione. Solo così si potrà sperare in una classe dirigente all’altezza del compito che le spetta: programmare, progettare, governare.
Matteo Lauria