Sanità, ancora con la distribuzione dei pani e dei pesci…
Si persevera nella dinamica dei mendicanti col cappello in mano.
Nell’arco Jonico, il termine sanità è diventato sinonimo di chimera. Sono passati diversi lustri da quando l’ex Asl 3 di Rossano riusciva egregiamente ad erogare servizi ad un ambito demografico di circa 200mila abitanti. Quattro ospedali ben spalmati sul territorio che a seguito del decreto “Lo Moro”, poi convertito in legge dal governo Scopelliti, sono stati ridimensionati ad un solo nosocomio suddiviso su due plessi.
L’hanno presentata in pompa magna, la riforma, dicendo che il sistema HUB-SPOKE avrebbe meglio organizzato la sanità calabrese, pervasa da debiti fino al midollo. Più a sud della Sibaritide, stesso discorso, la vecchia Asl 5 nella quale ricadevano i presidi di Crotone e San Giovanni in Fiore, anch’essa vittima di tagli. Crotone unico Spoke, mentre il presidio di San Giovanni in Fiore veniva aggregato all’ASP di Cosenza, ridimensionando l’offerta sanitaria dello stesso a “Presidio di Montagna”, pertanto anni luce lontano dalla possibilità di soddisfare la richiesta sanitaria Silana e dell’alto Marchesato. Il disegno era chiaro: chiudere i presidi più piccoli, ridimensionare i presidi medi, dilatare i presidi cosiddetti “grandi”.
Pertanto Cosenza accorpava nella sua Asp l’Hub dell’Annunziata e tre spoke (300mila abitanti per un Hub, 150 per ognuno dei tre Spoke, totale 750 mila abitanti). Catanzaro accorpava al sistema HUB-SPOKE, due Hub sul Capoluogo (Mater Domini e Pugliese Ciaccio) più gli spokes di Crotone, Lamezia e Vibo (circa 710mila abitanti totali). Reggio Calabria basava il modello HUB-SPOKE sul “Bianco-Melacrino-Morelli”, l’ospedale Spoke di Locri ed un non meglio identificato Spoke tra Polistena e Gioia Tauro (totale 560mila abitanti).
Tornando alla sanità “nostrana”, al tempo si promise un nuovo ospedale (spoke) che avrebbe sostituito gli ormai obsoleti Rossano e Corigliano (e nel frattempo si perse un finanziamento per un centro DEA a Rossano) e fino alla messa in funzione del nuovo ospedale si sarebbe dovuta riorganizzare l’offerta sanitaria dell’alto Jonio suddividendo i reparti tra il “Compagna” ed il “Giannettasio”.
In tutto ciò non si era tenuto in conto che la sanità calabrese, non era più in mano a dirigenti, direttori, manager che coscienziosamente avrebbero dovuto distribuire i servizi in modo da rendere gli stessi fruibili, quanto in mano a medici, personale sanitario ed amministrativi, che in virtù del loro “posto di lavoro” decidevano e decidono (non tutti per fortuna), se è meglio che un reparto sia allocato in area ausonica piuttosto che in area bizantina, così come, se è giusto tenere reparti doppioni ed inutili, piuttosto che mettere in pratica il famoso “decreto Scura” che stabiliva l’area medica su Corigliano (per ovvi motivi logistici legati all’infelice posizione geografica del presidio) e l’area chirurgica su Rossano (poiché dotato di una posizione baricentrica e raggiungibile dallo Jonio tutto, più di una piattaforma per l’elisoccorso).
Oggi invece siamo ridotti alle comiche: reparti di cui si decreta la chiusura, riaperti a distanza di 48 ore, per avere responsi in merito alla loro persistenza a distanza di una settimana; reparti che vengono chiusi per inagibilità con la promessa di riapertura (momentaneamente in altri piani), ma poi non si riesce a reperire una ditta per espletare pulizie straordinarie a seguito di alcuni lavori in calcestruzzo all’uopo realizzati: roba da far venire il mal di testa ad un’aspirina!
Si badi bene, quello “dell’ideale dell’ostrica” (verghiano attaccamento alla terra che nel nostro caso si traduce al piccolo orticello inteso come luogo di lavoro), è un male tanto ausonico quanto bizantino (direi anche Jonico) non solo in ambito sanitario, ma in tutto il settore amministrativo più volgarmente detto “statale”.
E nel mentre noi siamo ancora arroccati a difendere stupidi steccati ormai travolti dalla storia e dagli eventi, concausa di un atavico arretramento culturale che sullo Jonio trova fertili campi ed immense praterie, a Cosenza (città per la quale non era previsto, in atto rimodulazione offerta sanitaria del 2009, alcun ospedale), si chiede (e si ottiene) di poter avere un nuovo ospedale, che non sarà costruito alla confluenza del Crati col Busento (in terra brutia non stanno a guardare se il Ciglio della torre è meglio dell’Ariella e viceversa), ma a cavallo tra le colline di Rende e Montalto, laddove sarà servito da una nuova stazione ferroviaria, un nuovo svincolo autostradale e sarà la piattaforma di lancio dell’agognata facoltà di medicina e chirurgia che la città brutia desidera sin da quando l’Unical è nata.
E noi? E lo Jonio? Stiamo pensando anche ad uno scorporo dall’ASP di Cosenza (argomento esaminato anche nell’ultima Conferenza dei Sindaci) magari aggregandoci a Castrovillari (le cui deficienze intese come ambito si sono appalesate nell’osceno disegno della geografia giudiziaria), che nel frattempo pur essendo stato ridimensionato ha comunque un reparto di Emodinamica, cosa che non hanno né Corigliano Rossano né Crotone, magari per essere (inteso come Jonio) l’ospedale di zona disagiata del comprensorio del Pollino?
Ma ci rendiamo conto che “Magna Graecia” doterebbe lo Jonio di una demografia tale da poter pretendere che quell’ospedale, che forse un giorno vedrà la luce, non sarebbe vecchio ancor prima di nascere, ma potrebbe essere un Hub a saldo zero, piuttosto che un inutile e superfluo Spoke clone di due fatiscenti Ospedali e che per la baricentrica posizione che occupa, dal piano di Sant’Anna alla valle del Sinni, riuscirebbe a soddisfare la domanda demografica di oltre 400mila abitanti. Pensiamo al fatto che “l’ospedale della Sibaritide” insieme al “San Giovanni di Dio” di Crotone potrebbe dare vita ad un’AZIENDA OSPEDALIERA (sulla falsa riga di ciò che sta per essere intrapreso in terra d’Istmo, laddove si stanno inglobando in un’unica Azienda Ospedaliera, i due Presidi di Catanzaro e il “Giovanni Paolo II” di Lamezia), mentre l’ASP JONICA riuscirebbe ad erogare servizi nel Presidio di zona disagiata di Trebisacce e nei due Presidi di montagna di Acri e San Giovanni in Fiore.
Egregi amministratori, lungimiranti dirigenti e direttori, avveduti politici, smettiamola con la suddivisione dei pani e dei pesci!
Iniziamo a ragionare in ottica costruttiva, guardando al lungo periodo, cominciando
ad intessere il principio di quel ragionevole tasso d’interesse che permetta alle future generazioni di pensare che la loro terra non è una “landa desolata”, che si possano creare i presupposti affinché si faccia qualcosa di buono, altrimenti i prossimi profughi non saranno più coloro che arriveranno dai Paesi Subsahariani, quanto Sibariti e Crotoniati, ovvero eredi di stirpe di quella che un tempo fu la Magna Graecia, che Chi scrive ed il Comitato per la Provincia della Magna Graecia tutto, si prefiggono di ricreare in chiave moderna e globale.
Domenico Mazza