A 55 anni dai moti di Reggio, Critelli (CMG): “Un regionalismo deviato e da riformare”

Opportuno un bilancio dei miglioramenti e dei deficit di una Regione che stenta a decollare
Nel 2025 stiamo girando la boa del 55° Anniversario di Regionalismo Calabrese.
Un passaggio ordinario, ormai, di funzionalità della legislazione differenziata e concorrente.
Sarebbe stato opportuno, dopo oltre 50 anni, fare un bilancio dei miglioramenti o dei deficit, dei punti di forza e dei punti di debolezza.
Di tutto ciò che si poteva fare, e si potrebbe ancora fare, per rendere i Calabresi cittadini normali.
Un dato storico il 1970 allorquando si inserì, nella Costituzione, il sesto pilastro del nostro impianto Repubblicano (Corte Costituzionale, Parlamento, CSM, Regioni, Province, Comuni).
Ogni anno, puntualmente, si dibatte dei moti di Reggio successivi a quell’evento.
Due narrazioni che si intrecciano e correlate fra di esse, in quanto a implicazioni politiche e istituzionali.
La ricostruzione che ne fà Calabria.live, puntuale e oggettiva, aiuta il “guidatore” (il legislatore odierno) esattamente come uno “specchietto retrovisore”.
Non vi si può tenere costantemente lo sguardo, perché si rischia di schiantare.
Ma neanche ignorarlo del
tutto, per evitare di essere orientati solo da revisionismo fine a se stesso o dalla riproposizione, de quo, di fatti e accadimenti ormai lontani e metabolizzati.
Una occhiata rapida, giusto per calibrare i giudizi, aiuterebbe a rendere più mirati i cambiamenti dell’impalcatura istituzionale ed amministrativa della Calabria, ma, soprattutto, geopolitica.
Non è ordinario provare ad aprire un confronto su come rilanciare temi nazionali, ma dalle implicazioni territoriali.
L’autonomia differenziata e il ponte sullo Stretto, senza perdere di vista la prospettiva di una maggiore coesione, questa volta politica, anche delle Istituzioni europee.
Non è nemmeno pretenzioso, da parte mia, legare fatti transnazionali con prospettive di macroarea.
Intanto, perché tutto si tiene insieme.
Poi, perché ne abbiamo titolo, essendo la Calabria, fra le altre, a comporre la Commissione InterMediterranea e a esprimerne il Presidente, nella persona di Roberto Occhiuto.
E, in ultima istanza, perché sono temi dei quali mi appassiono e scrivo da anni.
Il Mediterraneo, non un Oceano, ma con una rilevanza che lo tiene sempre al centro degli equilibri mondiali e ne fa parlare con la stessa dovizia e visione prospettica del Pacifico o dell’Atlantico.
Indubbiamente spazi acquei sterminati che, oltre a collegare continenti, sono sempre stati ritenuti baluardi anche di difesa degli Stati bagnati, per come sostiene Tim Marshal nel suo libro “Le 10 mappe che spiegano il mondo”.
Lo stesso Mediterraneo con i suoi “affluenti” (Sicilia, Sardegna, Tirreno, Jonio, Adriatico, etc.) potremmo assumerlo come il “nostro” Oceano, dacché Mare Nostrum.
Assolutamente rilevante anche perché in esso si svolge oltre il 25% dell’intero traffico commerciale e turistico del mondo.
Senza attardarci in statistiche o citazioni, per venire rapidamente alla “provocazione ma non tanto”, bisognerebbe avere l’ambizione di superare o di implementare la storica suddivisione di Calabria Citra e Calabria Ultra – dalle quali discesero, qualche centinaio d’anni dopo, e fino al 1993, le tre Province di emanazione Sabauda (Catanzaro, Cosenza, Reggio Calabria) – con la “Calabria dei due Mari“.
Unica Regione italiana ad essere completamente avvolta da due mari, pur non essendo un’isola ma collegata alla terra dall’Istmo di Catanzaro.
Si tratterebbe di ridare dignità, o anche di risarcire, l’intera fascia jonica (Sibari, Corigliano-Rossano, Crotone, etc) che nei millenni successivi alla dominazione Magnograeca hanno visto perdere sempre più rilevanza fino a ridursi in una terra di passaggio e di sempre meno residenza, fagocitata dai centralismi regionali ed extra regionali.
Ecco perché Autonomia e Ponte sullo Stretto potrebbero offrire la stura a rilanciare la MacroRegione Mediterranea, con zoccolo di partenza, Sicilia, Calabria e Basilicata, e Capoluogo la “Città dello Stretto” unite dalla più grande opera ingegneristica del mondo, almeno in quanto a lunghezza e temerarieta’ geostatica.
La seconda Regione d’Italia con i suoi poco più di 7mln di abitanti.
Una opportunità irripetibile per rilanciarci, affidandoci a noi stessi e, soprattutto, alla nostra testardaggine:
quella positiva ovviamente.
Non trascurerei neppure il fatto che le tre Regioni hanno la stessa maggioranza politica e la guida affidata a 3 Liberalpopolari che affondano, nell’autonomismo Sturziano, la cultura di Governo che li orienta.
Saremmo competitivi e da primato su diverse materie quali energia, turismo, produzioni agricole, beni archeologici, enogastronomia mediterranea e contee vitivinicole.
E poi, artigianato e industrie eco-sostenibili.
Una sfida quotidiana a elevare la qualità della vita, tra gli altri, dei Calabresi e di quelli Jonici, alla pari.
Sopratutto tornare ad essere attrattivi anche per tutti i nostri figli che hanno deciso di mettere subito a reddito i sacrifici di anni di studio, emigrando.
L’articolazione Amministrativa fra funzioni legislativo (Comm.ne Europea, Stato e Macro Regione) e di coordinamento (Province) potrebbe applicare, sul principio di densità demografica e contiguità territoriale, l’estensione e/o la contrazione di Province preesistenti ma dalle dimensioni sproporzionate, anche rispetto alla rivisitazione dell’ultima legge di Riforma, Delrio, che pone un tetto (350 mila abitanti) oltre il quale il territorio finisce per essere sterminato e ingovernabile.
Alla stesso modo, sperequativo, Province piccole come Crotone e Vibo, o, addirittura, di pochi Comuni, 6 (sei) come nel caso della Provincia toscana di Prato.
Le riforme nazionali, che procedono a rilento, fra scontri di casta o ideologici, come la Giustizia, il Premeriato e la stessa Autonomia fiscale, non possono non trovare applicazione che dialogando con il territorio.
In Calabria, invece, tutto si stà riaccorpando secondo la vecchia articolazione istituzionale delle 3 grandi Province preesistenti al 1993: aree nord, centro e sud.
Da ciò, le camere di commercio, le organizzazioni di categoria, i Sindacati confederali etc.
Un “usato sicuro”, per molti, ma senza riscontro del sentimento popolare e delle ricadute politiche, infrastrutturali ed economiche.
A questo sommiamo la contestuale assenza dei partiti, ultraventennale, che non ha generato Classe dirigente con capacità critica o autonoma visione del futuro, ma ambascerie periferiche, in taluni casi, vere e proprie sotto-prefetture del consenso.
Questo è, in buona parte, responsabilità della mia generazione che anziché porsi al servizio e basta, si è posta al servizio se.
Ma poi per fare cosa!?
Per ritornare tutti abbracciati e, magari, anche saltellando, alla vecchia Provincia di Catanzaro?
E chi lo stabilirebbe, il Consiglio Regionale o la Comm.ne parlamentare ?
Avevo proposto, già nel 2020, una consulta Regionale Interistituzionale aperta al mondo delle professioni e dell’associazionismo, per avviare, ad origine della legislatura, un confronto che avesse l’ambizione di aprire una stagione Riformista e innovatrice dell’articolazione Istituzionale amministrativa e territoriale della Calabria.
Cercando anche di evitare che questi 32 anni trascorsi dalla riforma delle autonomie locali (1993), si risolvessero alla Fantozzi (il comico): abbiamo scherzato.
Se così dovesse essere, la forzatura sarebbe solo responsabilità dei tanti epigoni che calcano la scena nazionale e Regionale, senza interrogare o rendere partecipe il territorio.
Al netto delle preferenze personali – sono sempre stato per l’autonomia da Catanzaro fin dal 1979 anno di ingresso nella DC e, da qualche anno, sostengo la costituzione della Provincia della Magna Graecia – credo che il territorio vada costruito seguendo direttrici di sviluppo che riducono la perifericità dei territori e affidandosi, tra le altre infrastrutture, anche a Città policentriche o territorio.
Da ciò la fusione dei 6 Comuni rivieraschi di Crotone, Isola Cr., Cutro, Scandale, Rocca di Neto e Strongoli in un unico grande Comune di oltre 100 mila abitanti e a una incidenza, e rilevanza geopolica, della più grande Città dello Jonio calabrese, da Sibari a Locri, e del 3° territorio più esteso d’Italia dopo Roma e Ravenna (612 kmq).
Catanzaro, invece, è stata una Città “Centralista”.
Tutto avveniva subordinatamente agli interessi del Capoluogo.
Da ciò la domanda di autonomia istituzionale, anticipata da quella politica, della mia generazione che, mi auguro, i “nuovi” sapranno difendere.
Rispetto a questi temi riscontro, purtroppo, un fatalismo e una mancanza di idee, anche diverse, -chissà che non mi si convinca del contrario – che non lascia ben sperare, anzi!!
Le prossime elezioni Amministrative (2026) dovranno servire proprio per far crescere e condividere dal basso queste tematiche. Diversamente si continuerà a dibattere di Bonifica in termini reazionari e populisti senza neanche sapere di cosa si parla e quante opportunità si sono perse in attesa di Godot.
Anche in questo caso, non mi fido dei nuovi e nemmeno di quelli della mia generazione che hanno attraversato gli ultimi 30 anni osservando o generando cumuli di rifiuti tossici e radioattivi ma utilizzando, nei mandati elettorali a loro discrezione per la Città, le Royalties.
E lo hanno fatto anche i cosiddetti Comuni rivieraschi del Crotonese.
Ecco perché mi fido e sostengo, solitariamente, l’azione del generale Errigo, Commissario Sin, sul quale si prova anche ad orientare il venticello della calunnia.
Quest’ultimo anche da parte di chi essendo stato al Governo della Regione (Oliverio) o al Governo del Paese (Conte I e II) ha titolo a confrontarsi ma non a porre addebiti o a suggestionare i Crotonesi.
Domenico Critelli
già Assessore alla Provincia di Crotone, componente del Comitato Magna Graecia, componente del Progetto zeroSei