Elezioni regionali, Lauria: “La Calabria non è un condominio”

Dalla politica ai casting
Siamo nell’epoca dei nomi e dei volti. Un tempo, invece, esisteva la politica ed era una cosa seria. Non c’era la rincorsa della faccia buona da piazzare in lista all’ultimo minuto, non c’era la bulimia di candidature improvvisate. C’erano partiti che incarnavano visioni, culture, scuole di pensiero. La Democrazia cristiana non era solo un simbolo, era un orizzonte. Il Partito socialista aveva un’ambizione sociale e culturale precisa. I repubblicani, pur minoritari, portavano avanti una tradizione laica, colta, radicata. Il Movimento sociale italiano rappresentava una parte del Paese che si riconosceva in una determinata idea di nazione. Per non parlare nelle vere battaglie del partito comunista italiano. Si discuteva di politica, di progetti per la società, di linee programmatiche. Si stava dietro a un simbolo non per fedeltà cieca, ma perché quel simbolo custodiva un insieme di valori. Le persone venivano dopo, erano rappresentanti di un’idea. Oggi tutto questo è evaporato. Restano solo i nomi, i cognomi, le ambizioni personali.
Dalla comunità al condominio
La deriva è chiara: ci si candida come se si trattasse di presentarsi all’assemblea di un condominio. Ognuno tira fuori il proprio nome, senza chiedersi quale visione abbia della Calabria, quale idea di sviluppo economico o sociale proponga, quale strategia intenda portare avanti contro la criminalità organizzata che continua a governare interi territori. Il Consiglio regionale non è una platea per vanità personali. È un organo legislativo. È chiamato a produrre leggi, a programmare interventi, a pianificare politiche ambientali, sanitarie, energetiche, infrastrutturali. È chiamato a costruire una visione di futuro. Ma tutto questo oggi sembra sparito dall’orizzonte. Il candidato medio non ha un’idea, non ha una proposta, non ha un progetto. Ha solo un nome.
L’ossessione per i nomi
Le cronache politiche sono ormai ridotte a una sequenza infinita di nomi buttati nel calderone. Ogni giorno c’è un “totocandidato” nuovo. Il criterio è uno solo: da dove viene. Territorialità. Essere di un determinato paese o provincia sembra il passaporto sufficiente per proporsi a governare una regione complessa come la Calabria. Eppure dovrebbe essere chiaro a tutti: la territorialità non basta. È importante conoscere il contesto, certo, ma non è un valore assoluto. Non è la garanzia di competenza. Senza idee, senza programmi, senza una visione chiara, il fatto di essere “del posto” resta solo un’etichetta vuota.
La stampa che rincorre il teatrino
Il problema non è solo dei politici. È anche degli organi di stampa che si limitano a rilanciare la sfilata dei nomi, senza pretendere risposte serie. Nessuno chiede ai papabili candidati quale idea abbiano della sanità calabrese, come intendano riformare il sistema dei trasporti, cosa propongano in materia di occupazione giovanile e non, come riequilibrare il problema dei centralismi, quali strumenti vogliano adottare per contrastare la mafia. È come se ci si fosse rassegnati al fatto che la politica sia solo un gioco di facce. La stampa, invece di alzare il livello del dibattito, si presta al gioco. Ma se i giornali e i media locali si limitano a fare da megafono, chi pretenderà dai candidati contenuti veri?
La mancanza di visione
Quello che manca è un’idea di Calabria. Nessuno, o quasi nessuno, prova a disegnare un futuro. Non ci sono proposte concrete su come affrontare il problema occupazionale in una regione che continua a perdere giovani. Nessuna riflessione seria sulle politiche ambientali ed energetiche. Nessuna parola sul centralismo, che in Calabria ha radici storiche nei tre capoluoghi e che ancora oggi determina squilibri e rivalità. La sanità resta un terreno importante. La giustizia, i rapporti con lo Stato, la lotta all’illegalità: temi enormi che restano fuori dal dibattito. In compenso, però, si parla di nomi. Sempre e solo nomi. Questo è il prurito che più agita i curiosi. E uno degli aspetti più importanti è frenare le ingerenze della politica sulla burocrazia, al fine di agevolare le pratiche di tizio, caio o sempronio. Per non parlare di ciò che accade in sanità. La politica non deve entrare nella gestione! E allora come è possibile invertire l’impostazione: prima i nomi e poi? Poi cosa? Non sappiamo nulla. Quindi resta solo il “siamo brave persone” o la territorialità!
Le candidature come offesa al corpo elettorale
Ogni candidatura insulsa, priva di contenuti, è un insulto al corpo elettorale. È il segnale che si considera l’elettore incapace di giudicare, un pubblico passivo a cui basta dare uno spettacolo di facce. Ma gli elettori non sono una platea da intrattenere. Sono cittadini che hanno diritto a essere governati con serietà. La politica che propone candidature senza visione dimostra un disprezzo profondo per chi vota. È come dire: non ci interessa quello che pensi, non ci interessa quale futuro immagini per la tua terra, ti basta scegliere tra un nome e l’altro. È un impoverimento della democrazia.
L’antimafia dimenticata
Parlare di Calabria senza parlare di criminalità organizzata è un atto di omissione. La ‘ndrangheta resta la forza più potente e pervasiva del territorio, eppure i candidati non hanno nulla da dire. Nessuno espone un piano serio per rafforzare la lotta alla mafia, per sostenere le procure, per proteggere chi denuncia, per investire in cultura della legalità. L’antimafia non è un tema accessorio. È la condizione minima per permettere a questa terra di respirare. Senza un impegno chiaro e forte, ogni programma resta carta straccia.
I volti riciclati
Il rinnovamento è una parola abusata. Tutti la pronunciano, nessuno la pratica. Perché i nomi sono sempre gli stessi. Una rotazione infinita di volti già visti, di carriere politiche che si trascinano da decenni. È un gioco delle sedie: si cambia la posizione, ma le persone restano le stesse. Dov’è il rinnovamento? Dov’è il coraggio di proporre figure nuove, di aprire ai giovani o meno giovani ma detentori di visioni di territorio che possano rivoluzionare il sistema Calabria? Invece si preferisce la sicurezza del già noto, anche se il già noto non ha mai prodotto risultati concreti, tanto meno espresso contenuti di spessore.
La contrapposizione finta
Oggi la discussione si concentra su un nome contro l’altro: Tridico contro Occhiuto. Come se fosse questo il nodo. Ma non è così. Non dovrebbe esistere Tridico o Occhiuto. Dovrebbero esistere una cultura di centrosinistra e una cultura di centrodestra. Due visioni alternative del futuro, due programmi chiari, due modi diversi di immaginare la Calabria. Personalizzare tutto su due volti significa impoverire il confronto. Non conta chi sei, conta cosa proponi. Un candidato dovrebbe rappresentare un progetto, non sostituirlo.
Il ruolo del corpo elettorale
In questo scenario il corpo elettorale non è innocente. Anche gli elettori hanno una responsabilità. Perché se accettano il gioco dei nomi senza chiedere contenuti, alimentano il circo. Il voto non è un atto di rassegnazione, è un momento in cui si può pretendere di più. Il tessuto sociale ed elettorale deve fermarsi a riflettere. Vuole continuare a essere trattato a pesci in faccia, o vuole alzare il livello delle richieste? Vuole restare spettatore passivo o tornare protagonista della politica?
La necessità di coraggio
Quello che serve sono idee coraggiose. Non l’equilibrismo che vediamo ogni giorno. Non la paura di scontentare tutti e quindi il tentativo di non dire nulla. Ci vogliono posizioni nette, visioni chiare. La politica è fatta di scelte, non di acrobazie. Un candidato credibile è chi sa dire “questa è la mia idea di Calabria” e sa portarla avanti con coerenza. Tutto il resto è teatro, recita senza copione.
Conclusione: basta con la fiera dei nomi
La Calabria merita di più. Merita candidati che abbiano un progetto di sviluppo, che parlino di lavoro, di ambiente, di sanità, di giustizia. Merita un confronto vero tra idee, non un casting tra volti. Basta con le personalizzazioni. Basta con le candidature improvvisate. Basta con le facce riciclate. Serve una politica che torni a essere politica, fatta di programmi, di visioni, di ideali. Perché un Consiglio regionale non è un condominio. È un’istituzione che decide il futuro di una terra. E trattarlo come un condominio è la più grande offesa che si possa fare ai calabresi.
Matteo Lauria