Imprenditori nella morsa tra Stato e Antistato

Imprenditori nella morsa tra Stato e Antistato

Fare ooggi impresa lungo lo Jonio significa avere diversi avversari

Lungo la fascia ionica lo Stato ha arretrato. Non crea occupazione, non sostiene chi il lavoro lo produce, non apre spazi a chi decide di investire e restare. In un territorio dove l’occupazione pubblica è sempre più rarefatta, la responsabilità di tenere in vita l’economia ricade su imprenditori, operatori turistici, professionisti, artigiani, agricoltori. Persone che, invece di essere incoraggiate, vengono costrette a muoversi in un campo minato. Con gravi ripercussioni sull’anello debole: lavoratori e inoccupati.

Oggi fare impresa qui significa avere due avversari. Il primo è lo Stato stesso, che opprime con leggi sovrapposte, regolamenti confusi e una burocrazia lenta, capace di trasformare una semplice autorizzazione in un labirinto senza uscita. Ogni rapporto con la pubblica amministrazione diventa una prova di resistenza, in cui il cittadino si trova davanti a uffici che rallentano, rinviano, fanno pesare ogni decisione.

Il secondo avversario è l’antistato: la criminalità organizzata. Chi lavora conosce bene la pressione dell’estorsione, le richieste mascherate o esplicite, il messaggio che se non ti adegui “qualcosa” può succedere. È una presenza che non si vede nei comizi, ma che tutti sentono sulla pelle.

E poi ci sono gli istituti di credito. Le banche, invece di sostenere le imprese nei momenti di difficoltà, si chiudono dietro a montagne di garanzie, pretendendo quello che spesso un imprenditore in crisi non può dare. Si difendono dietro la parola “rischio” ma, così facendo, spingono chi ha bisogno verso un’altra porta, quella peggiore: l’usura.

Quando le banche si ritraggono, il denaro lo si cerca altrove. E altrove, troppo spesso, significa affidarsi a circuiti criminali che offrono “aiuto” immediato ma a un prezzo altissimo. In questo passaggio si consuma una delle trappole più devastanti per un’impresa: non si tratta più solo di fare i conti con i tassi ufficiali, ma con interessi che crescono come un cappio. Chi cade in questa spirale rischia di perdere non solo l’attività, ma la propria libertà.

Di tutte queste tematiche, di Stato e Antistato, di usura e di altro,  non se ne parla nei consigli comunali, non si trova spazio nei programmi elettorali, non si entra mai tra le priorità dei governi. Questi problemi non hanno colore politico. Dei silenzi ne pagano il prezzo sempre gli stessi: gli imprenditori, i commercianti, gli operatori turistici, chiunque si ostini a voler produrre lavoro in questa terra.

Produrre lavoro significa garantire pensioni future, dare dignità alle famiglie, offrire prospettive ai giovani. Ma in queste condizioni si finisce per lavorare più per sopravvivere che per crescere. Tra leggi soffocanti, minacce criminali, banche assenti e usurai pronti a colpire, chi investe qui non è un semplice imprenditore: è un resistente.

La domanda resta: vogliamo davvero affrontare questo nodo che ci riguarda tutti, oppure continueremo a fingere di non vedere, voltando lo sguardo altrove? Perché chi fa politica non può limitarsi a sventolare principi astratti: deve esporsi su problemi concreti, quelli che incidono sulla vita reale delle persone. Tutto il resto sono solo parole al vento.

Matteo Lauria

Redazione Comitato MagnaGraecia