Porto e centrale, Lauria: “Enel e Baker spariti dal dibattito. Cosa dicono davvero i candidati?”

Porto e centrale, Lauria: “Enel e Baker spariti dal dibattito. Cosa dicono davvero i candidati?”

Se la politica non sa rispondere su questi due snodi, allora non ha un progetto per il territorio. E senza progetto, ogni promessa di sviluppo è solo retorica

La campagna elettorale nell’area di Corigliano Rossano scorre via come acqua piatta, senza che nessuno sembri accorgersi delle due grandi sagome ferme all’orizzonte: il porto e la centrale Enel. Due strutture gigantesche, simboli di promesse mancate e possibilità mai colte. Due luoghi che potrebbero cambiare le sorti economiche del territorio e che invece, nel silenzio generale, continuano a marcire nel tempo sospeso della politica.

Nel mezzo, l’eco di un progetto che ha diviso la comunità: quello dell’investimento di Baker Hughes al porto, lasciato cadere tra errori procedurali, rigidità istituzionali e un ricorso al Capo dello Stato che fece saltare ogni calendario. Sembrava un affare chiuso, e invece oggi qualcuno torna a evocarlo. Quel qualcuno è Simona Scarcella, sindaca di Gioia Tauro e, in aspettativa, componente dell’ufficio legale dell’Autorità Portuale di Gioia Tauro: conosce bene i dossier, e non ha usato parole leggere.

Ha parlato di “errore di metodo” nel modo in cui fu condotta la trattativa con Baker Hughes. Ha ricordato il comportamento “anomalo” dell’allora presidente dell’Autorità Portuale che, a suo dire, irrigidì i rapporti e le relazioni con il territorio. E poi ha fatto un passo ulteriore: ha detto che si può riaprire un dialogo. Nessun dettaglio su come, nessuna strategia svelata. Ma solo l’idea che si possa tornare a trattare è bastata a riaccendere domande lasciate troppo a lungo senza risposta.

Nella campagna elettorale locale, però, di tutto questo non si parla. Nessun candidato ha posto con forza il tema di cosa fare del porto di Corigliano Rossano. Eppure quel porto rappresenta l’unica infrastruttura logistica di scala industriale su cui il territorio possa costruire un futuro produttivo stabile. L’impressione è di trovarsi davanti a un enorme vuoto di visione: non esiste un Piano Regolatore Portuale approvato, non esiste una strategia per attrarre investitori, non esiste nemmeno una discussione aperta con il nuovo presidente dell’Autorità Portuale. Pare di capire che si aspetti che la nave passi da sola, come se bastasse il tempo a far attraccare sviluppo e lavoro.

Invece il tempo sta solo consumando le opportunità. La fuga dei giovani in cerca di occupazione altrove è costante, il turismo non garantisce stabilità, l’agricoltura tiene ma non basta. Nel frattempo, due grandi poli industriali potenziali restano fermi: il porto e la centrale Enel. Il caso Baker Hughes resta emblematico. L’azienda aveva mostrato interesse a investire sul porto, creando posti di lavoro e attivando un indotto significativo. Ma l’amministrazione comunale, diffidente sui termini della trattativa, presentò un ricorso formale al Capo dello Stato. Una scelta che bloccò tutto: la multinazionale perse la pazienza, i tempi si allungarono, e l’opportunità evaporò.

Oggi, se davvero c’è margine per riaprire quel canale, servirebbe una classe dirigente capace di trattare con metodo, rapidità e autorevolezza. È questo, forse, il vero sottotesto dell’intervento di Simona Scarcella: non tanto la nostalgia di ciò che fu, quanto il richiamo a non sprecare più il prossimo treno. Ma per non sprecarlo, bisogna almeno salire a bordo. E per salire, serve un progetto chiaro. Chi, tra i candidati, ha il coraggio di scriverlo?

Se il porto langue, la centrale Enel non sta meglio. Un impianto che un tempo dava lavoro e ora è sospeso tra dismissione e riconversione, senza una direzione definita. Anche qui, il silenzio è quasi totale. Nessuno spiega se esista un piano industriale alternativo, se si voglia puntare sulle rinnovabili, se si possa immaginare un polo energetico innovativo. Eppure parliamo di un sito che potrebbe attrarre investimenti tecnologici e produrre occupazione qualificata. Invece resta lì, fermo, come un reperto industriale di un’epoca finita. Un’occasione lasciata a metà, che nessuno sembra voler afferrare. Non si tratta solo di nostalgia per i posti persi: si tratta di capire se esiste una visione di sviluppo, o se si preferisce lasciare che anche questa infrastruttura si spenga da sola.

La parte più sorprendente è proprio questa: i candidati non parlano né del porto né della centrale. Qualche accenno vago a “rilancio del territorio”, qualche parola sulla “necessità di sviluppo”, ma nessun programma operativo, nessun cronoprogramma, nessuna strategia concreta. È come se discutere di infrastrutture pesanti, di piani industriali, di trattative complesse facesse paura. Come se fosse più comodo rifugiarsi in promesse leggere e immediatamente applaudibili, piuttosto che affrontare le vere questioni che determinano il destino economico del territorio.

Ma l’assenza di parola è già una scelta politica. Tacere su porto ed Enel significa, nei fatti, accettare che restino fuori dall’agenda. Significa rinunciare a governare lo sviluppo e limitarsi ad amministrare il declino. Il punto è che senza una strategia su questi due asset — porto e centrale — non esiste alcuna possibilità reale di invertire la rotta della fuga giovanile. Ogni anno centinaia di ragazzi lasciano l’area di Corigliano Rossano per lavorare altrove. Chi resta si barcamena tra stagioni turistiche intermittenti e contratti agricoli precari. Serve un piano industriale credibile che tenga insieme logistica, energia, innovazione e occupazione. Serve la volontà politica di trattare con partner industriali, nazionali o esteri, con serietà e senza pregiudizi. Serve — banalmente — dire cosa si vuole fare di queste due grandi aree e assumersene la responsabilità davanti agli elettori.

E questo, al momento, nessuno lo sta facendo. Continuare così significa lasciare che le strutture si degradino, che gli investitori si allontanino, che i giovani continuino a partire. Significa perdere ogni capacità negoziale, perché un territorio senza visione non attira più nessuno. Nel caso del porto, l’assenza di un Piano Regolatore Portuale blocca ogni possibilità di sviluppo: nessuna azienda seria investe in un’infrastruttura senza certezze urbanistiche e logistiche. Nel caso della centrale, l’assenza di una decisione sulla destinazione futura impedisce qualunque ipotesi di riconversione. È un immobilismo che pesa più di un no: almeno un no consente di cercare un’alternativa, mentre il silenzio congela tutto.

Le parole di Simona Scarcella hanno un peso anche per questo. Non sono solo un’opinione: sono il segnale che dentro l’Autorità Portuale (di cui conosce i meccanismi, seppur in aspettativa) c’è ancora la percezione che un margine con Baker Hughes possa esistere. Se è così, la politica locale dovrebbe cogliere l’occasione, aprire un confronto con il nuovo presidente dell’Autorità e costruire un percorso tecnico serio. Non si tratta di ripetere il passato, ma di mostrare che questa volta si sa come muoversi. Perché se davvero esiste anche solo una possibilità, lasciarla cadere di nuovo sarebbe imperdonabile.

A questo punto la palla non è solo nelle mani dei candidati, ma anche degli elettori. È legittimo pretendere che chi chiede il voto dica cosa intende fare del porto e della centrale. È legittimo chiedere numeri, piani, tempi. Non slogan. Se la politica non sa rispondere su questi due snodi, allora non ha un progetto per il territorio. E senza progetto, ogni promessa di sviluppo è solo retorica.

La campagna elettorale potrebbe essere l’occasione per dire finalmente la verità: questo territorio può ancora scegliere se diventare un polo logistico e industriale moderno, capace di creare lavoro e trattenere i giovani, oppure restare una terra di partenze e rimpianti. Tutto dipende da come si deciderà di usare — o lasciare inutilizzate — le due più grandi infrastrutture a disposizione: il porto e la centrale. Non parlarne equivale a scegliere la seconda strada. Parlare chiaro, anche correndo rischi politici, è l’unico modo per provare la prima.

Il dibattito elettorale attuale ignora i due veri assi strategici del territorio: il porto e la centrale Enel. L’intervento di Simona Scarcella riapre uno spiraglio su una trattativa con Baker Hughes, ma serve una volontà politica che oggi non si vede. I candidati evitano il tema, preferendo slogan generici. Nel frattempo, i giovani continuano a partire e l’economia locale galleggia nella precarietà. Non ci sarà sviluppo senza decisioni chiare. E non ci saranno decisioni senza che la politica smetta di temere la responsabilità. O si sceglie ora cosa fare di porto ed Enel, o sarà qualcun altro, altrove, a scegliere al posto nostro.

Matteo Lauria

Redazione Comitato MagnaGraecia