Riaprire il tribunale, Lauria: “L’ultima occasione per una città che deve tornare a credere in sé stessa”

Riaprire il tribunale, Lauria: “L’ultima occasione per una città che deve tornare a credere in sé stessa”

Per anni si è parlato di questo tema come di una ferita aperta, eppure oggi, dopo una lunga attesa, siamo al punto più vicino alla sua possibile riapertura

Ci sono battaglie che misurano il grado di maturità di una comunità. La riapertura del tribunale di Corigliano Rossano è una di queste. È una prova collettiva, prima ancora che politica o amministrativa. E racconta — nel bene e nel male — quanto un popolo sa difendere il proprio diritto a contare, a esistere come territorio riconosciuto dallo Stato. Per anni si è parlato di questo tema come di una ferita aperta, eppure oggi, dopo una lunga attesa, siamo al punto più vicino alla sua possibile riapertura. L’ipotesi è approdata alla Camera dei Deputati, un traguardo che non era mai stato raggiunto nemmeno nei momenti in cui il governo M5S-Lega aveva inserito il tema nel proprio programma. Questo significa che l’obiettivo non è più un sogno lontano: è una possibilità concreta. Eppure, paradossalmente, è proprio ora che il rischio maggiore è quello di addormentarsi. O l’impegno sociale esiste solo nel mese antecedente le campagne elettorali? Il cittadino, su questo fronte, è distratto. Non per malafede, ma per assuefazione. Dopo anni di promesse e illusioni, l’attenzione si è spenta. Lo stesso vale per parte dei professionisti che operano nel mondo della giustizia: avvocati, periti, consulenti. Non tutti, certo, ma troppi si sono rassegnati a considerare la chiusura del tribunale come un destino irreversibile, un errore da archiviare con la solita rassegnazione calabrese. Che poi verrebbe da chiedersi: perché non si partecipa o non si concorre alla elaborazione di iniziative di sensibilizzazione? Si preferisce una passeggiata in Via Nazionale? Che illuminante alternativa ! Ora se davvero si vuole chiudere un ciclo di decadenza e ripartire, questo è il momento. Serve tornare a crederci, a sentirlo come un tema di dignità popolare, non come una pratica burocratica.
Perché la giustizia non è un servizio da delegare, ma una presenza da difendere.

L’immaturità di un popolo

La storia del tribunale di Rossano — oggi Corigliano Rossano — è una lezione di civiltà mancata. Quando fu chiuso, si gridò allo scandalo, si organizzavano cortei, assemblee, manifestazioni di piazza. C’era un fervore vero, popolare, spontaneo. Ma era inimmaginabile che uno Stato tornasse sui propri passi a distanza di un mese! Oggi si ammette che col passare del tempo quel fervore si è trasformato in stanchezza, in silenzio. Come se una parte della città avesse finito le parole, o peggio, la voglia di combattere. L’immaturità sta qui: nel pensare che basti l’indignazione iniziale, che qualcun altro risolva, che la storia giri da sola nella direzione giusta. Non funziona così. La politica, da sola, non basta. E neppure le associazioni o i comitati. Serve una voce collettiva, capace di farsi sentire ogni giorno, non solo quando arriva il momento delle foto o dei comunicati.

La superficialità che costa cara

È vero, all’inizio della chiusura del tribunale c’era l’elemento della novità: per molti avvocati, soprattutto sul versante coriglianese, la voglia di staccarsi da Rossano, ha determinato quasi una boccata d’ossigeno da un luogo vissuto con una sorta di malcontento. Ma, oggi, con il trascorrere degli anni, si è affacciata la stanchezza, quella fisica e mentale. La Città di Corigliano Rossano deve smettere di delegare ai soliti pochi l’onere delle battaglie, stare li in attesa di risultati, per poi godere dei benefici sulla base dei sacrifici fatti da altri. Troppo comodo!  La vicenda del tribunale riguarda tutti: cittadini, imprese, famiglie, giovani.  E se oggi Corigliano Rossano ha la possibilità di riottenere quel presidio, non è solo una questione locale: è una riparazione morale verso un’intera area della Calabria che ha pagato troppo per scelte miopi e centraliste. C’è poi un aspetto spesso ignorato: il valore economico di un tribunale. La presenza di un presidio di giustizia genera un indotto stabile e costante. Ogni giorno entrano e lavorano decine di persone: magistrati, cancellieri, avvocati, tecnici, periti, consulenti. A loro si aggiungono bar, ristoranti, copisterie, studi legali, uffici di servizi, piccoli negozi. Un microcosmo che fa girare denaro, crea occupazione, mantiene vivo il tessuto urbano. In città come Corigliano Rossano, dove il lavoro scarseggia e le prospettive sono fragili, un tribunale riaperto sarebbe un motore di ripartenza.
Non parliamo di cifre astratte: bastano pochi anni di attività perché il bilancio locale ne avverta gli effetti, anche in termini di imposte e investimenti.Non meno importante è l’impatto sul valore finanziario e immobiliare.
La presenza di un tribunale accresce la richiesta di spazi, uffici, studi professionali. Attira professionisti, stabilizza presenze, aumenta il valore delle aree urbane circostanti. E poi c’è la reputazione: una città che ospita un presidio giudiziario è una città riconosciuta, visibile, rispettata. La chiusura del presidio aveva rappresentato anche un declassamento simbolico, un colpo alla sua identità di polo di riferimento per la Sibaritide. Riaprire significa riottenere autorevolezza. Non come vanità, ma come peso istituzionale.

L’ultimo sforzo

Oggi siamo al bivio finale. La proposta di riapertura che arriva alla Camera dei Deputati è un passaggio storico, mai raggiunto prima. Ma serve compattezza. Serve “fare quadrato”, come si dice in questi casi. Non bastano i comunicati, né i proclami sui social. Servono presenza, partecipazione, continuità. Chi pensa che “tanto andrà bene” sbaglia. Chi si affida ai “soliti pochi” che da anni portano avanti la battaglia, sbaglia due volte. Questo è il momento di mettere da parte personalismi, rivalità, logiche di partito o di appartenenza. Il rischio è di ritrovarsi ancora una volta a rimpiangere, dopo aver mancato l’occasione. E allora sì, sarebbe davvero l’ennesima prova della nostra immaturità. È vero, l’entusiasmo dei primi anni è svanito. La chiusura del tribunale ha lasciato un vuoto, e il tempo ha logorato la speranza. Ma non tutto è perduto. C’è ancora una parte di città viva, consapevole, che sa quanto questa partita valga per il futuro. Quella parte deve trascinare il resto, con pazienza ma con fermezza. Non serve una rivolta, serve una responsabilità diffusa. La politica può aprire la strada, ma solo il consenso popolare può tenerla aperta. Perché la riapertura del tribunale non è un favore da chiedere: è un diritto da reclamare con dignità. Ogni volta che si parla di Corigliano Rossano, torna la solita trappola del campanile. Chi rappresenta chi, chi prende più spazio, chi appare di più. È una malattia antica, che ha già fatto troppi danni. Ma un tribunale non appartiene a una parte della città: appartiene a tutti. È il simbolo dell’unione possibile tra due comunità che, pur diverse, hanno scelto di fondersi per contare di più. Ecco perché chi oggi perde tempo in rivalità o calcoli di visibilità, gioca contro l’interesse collettivo. Qui non serve un pennacchio, serve un popolo. Lo stesso che riempie le piazze quando arriva il cantante di turno o si festeggia un Capodanno.

Oltre la rassegnazione

Molti pensano che sia troppo tardi, che lo Stato non torni mai sui propri passi. Ma la storia dimostra che non è così. Quando un territorio si fa sentire, quando costruisce argomenti e unità, le decisioni possono cambiare.
E oggi ci sono le condizioni: la consapevolezza politica, l’esperienza degli errori passati, la maturità di una città che ha imparato a non fidarsi più delle promesse a vuoto. Riaprire il tribunale di Corigliano Rossano non sarebbe un privilegio, ma una restituzione. Un atto di giustizia verso un territorio che è stato penalizzato, ignorato, trattato come periferia di periferia. In fondo, la riapertura non è solo una questione tecnica o logistica. È una questione di autostima collettiva. Perché un territorio che non difende i propri presidi vitali — scuola, sanità, giustizia — smette piano piano di credere in sé stesso. Un tribunale riaperto è il segno che la cittadinanza vale, che la legge abita anche qui, che lo Stato non è altrove. È una promessa di futuro, ma anche una responsabilità. Perché riottenere qualcosa di perduto significa poi saperlo custodire.

Matteo Lauria

Redazione Comitato MagnaGraecia