Politica, Lauria: “Oggi senza soldi non si fa nulla. La democrazia in saldo

Politica, Lauria: “Oggi senza soldi non si fa nulla. La democrazia in saldo

Se la comunicazione è moneta, allora il diritto a essere rappresentati diventa merce

In ogni fase elettorale torna lo stesso nodo irrisolto: chi ha soldi compra visibilità, chi non ne ha resta invisibile. Non è solo un problema di marketing politico, ma di democrazia sostanziale. Perché se la comunicazione è moneta, allora il diritto a essere rappresentati diventa merce. E questo accade proprio in Italia, dove abbiamo abolito il finanziamento pubblico ai partiti senza costruire alternative serie, lasciando la politica nelle mani di chi può permettersi una vetrina.La scelta di eliminare il finanziamento pubblico ai partiti fu presentata come un atto di moralizzazione. In realtà, ha aperto la strada a un modello sbilanciato. Oggi un candidato che non ha reti imprenditoriali o risorse personali può contare solo sulla buona volontà di testate locali, spesso a corto di mezzi e senza contributi. Lo spazio pubblico che una volta veniva garantito dalla legge e dal sostegno statale è stato sostituito da logiche di mercato. Il risultato: meno pluralismo, più concentrazione di voci. Le campagne elettorali funzionano come un’asta. Più paghi, più sei presente. Chi non paga, semplicemente sparisce. Le web tv, i giornali online indipendenti, le piccole testate che non vivono di contributi o di pubblicità istituzionale si trovano di fronte a un dilemma: regalare spazio gratuito a ogni candidato o sopravvivere. Ma pretendere che un piccolo giornale dia visibilità gratuita a tutti i candidati è ingiusto. Le redazioni vivono di compensi, di costi tecnici, di fatica quotidiana. Chiedere a chi non ha mezzi di “fare servizio pubblico” mentre lo Stato sostiene solo i grandi operatori significa piegare ulteriormente il sistema verso i più forti.

La Rai e il paradosso del canone

Qui entra in gioco un altro nodo: il servizio pubblico radiotelevisivo. Paghiamo un canone che, almeno in teoria, dovrebbe garantire pluralismo e spazi per tutte le forze politiche. Ma la realtà è diversa: la Rai diventa spesso megafono di chi governa, con una visibilità sproporzionata a vantaggio dei partiti più grandi. E allora la provocazione: perché i partiti non finanziano direttamente il servizio pubblico, visto che ne traggono beneficio diretto? Perché a pagare devono essere i cittadini che, magari candidandosi, non vedranno mai le proprie idee passare in prima serata? In un contesto così sbilanciato, anche i giornalisti perdono libertà. La loro autonomia è compressa tra due poli: da un lato i vincoli della cosiddetta par condicio, che irrigidisce ogni passaggio formale; dall’altro il peso dei poteri economici, che orientano inviti e palinsesti. Così, la libertà di stampa si riduce a un orizzonte teorico. Nella pratica, il cronista sa che certe scelte editoriali possono avere un costo: perdere inserzionisti, urtare politici influenti, scontentare imprenditori che finanziano. La regola diventa sopravvivere, non raccontare. La legge sulla par condicio, nata per riequilibrare, si è trasformata in un terreno scivoloso. Le norme non sono chiare, le interpretazioni divergono, e spesso la discrezionalità resta in mano alle redazioni. Il rischio è duplice: o si invitano solo i candidati “sicuri” di richiamare pubblico e sponsor, oppure si rischia un contenzioso legale. In entrambi i casi il principio di equità evapora. La democrazia viene gestita come un palinsesto: si premia chi porta ascolti o inserzioni, non chi porta idee.

Il nodo economico come filtro politico

Alla fine tutto si riduce a una constatazione amara: senza soldi non si fa politica. Non basta avere idee, proposte, energie. Serve un budget. Senza, si resta confinati nelle piazze fisiche, sempre più deserte, o nei social, dominati da algoritmi che favoriscono chi investe in sponsorizzazioni. Il cittadino che vorrebbe candidarsi senza appoggi economici parte con due handicap: meno copertura mediatica e meno accesso ai circuiti decisionali. La politica, che dovrebbe essere l’arte del confronto, diventa un’arena riservata a pochi. E qui si apre il tema delle soluzioni. Un’idea è quella di rifondare un sistema di sostegno pubblico all’informazione. Lo Stato potrebbe finanziare soggetti giuridici compostiesclusivamente da giornalisti, senza quote di proprietà di imprenditori o partiti. Contributi pubblici destinati a pagare stipendi e costi di redazione, sotto rigidi criteri di trasparenza. Il vantaggio sarebbe duplice: da un lato, garantire un minimo vitale a un’informazione indipendente; dall’altro, restituire al giornalista la sua missione di servizio. Così si libererebbe il giornalismo dall’attuale condizione di precarietà, che lo rende vulnerabile ai ricatti del potere economico.

Libertà di stampa e libertà politica: un binomio

Non si può parlare di libertà politica senza libertà di stampa. Se i cittadini non hanno accesso a un’informazione pluralista, non votano in modo consapevole. E se i giornalisti non hanno la possibilità di lavorare liberi dai vincoli economici, finiscono per diventare megafoni. La democrazia si regge su un equilibrio: il diritto di tutti a essere informati e il diritto di ciascuno a essere rappresentato. Senza questo, il voto diventa un atto cieco. Ciò che è in discussione non è solo il destino di piccoli giornali o candidati senza sponsor, ma la qualità stessa della vita democratica. Se l’arena politica diventa un club riservato ai più ricchi, il rischio è la disaffezione, l’astensionismo, la rabbia sociale. E quando la politica smette di essere accessibile, cresce l’idea che le decisioni non appartengano più ai cittadini ma a centri di potere opachi. Un passo dopo l’altro, si scivola verso un modello oligarchico, dove pochi decidono per tutti. La verità è semplice e amara: oggi senza soldi non si fa politica. È la frase che riassume un’intera stagione. Ma accettarla come ineluttabile significa rinunciare alla democrazia come bene comune. La sfida non è tornare al passato, ma inventare un futuro in cui il peso economico non sia più l’unico criterio per avere voce.
Perché la politica, se vuole restare tale, deve essere prima di tutto parola: accessibile, libera, condivisa.

Matteo Lauria

Redazione Comitato MagnaGraecia