La precarietà delle Aree interne Jonico-Silane alla pandemia in atto

La precarietà delle Aree interne Jonico-Silane alla pandemia in atto

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La riattivazione dei Presidi di montagna come operazione non più differibile.

La situazione in Calabria è drammatica!
Il piano di rientro sanitario attuato circa 10 anni fa ha posto i sigilli a molti dei nosocomi presenti sul territorio calabrese mentre taluni sono stati ridotti all’osso.
È questo il caso dei Presidi delle aree interne, i cosiddetti “Presidi di Montagna”, che da fiori all’occhiello si sono trasformati in contenitori vuoti laddove sono stati lasciati alcuni servizi, ma assolutamente insufficienti a suffragare la domanda sanitaria della popolazioni ad essi afferenti.
Nell’area della Magna Graecia, gravitano due dei quattro Presidi calabresi identificati come ospedali di montagna, ovvero l’ospedale di Acri e quello di San Giovanni in Fiore.
Da una prima analisi del decreto varato dalla Presidenza della Regione Calabria, sembrerebbe che i succitati presidi non siano oggetto di adeguamenti atti a fronteggiare l’eventuale aumento del contagio epidemico, che se non contrastato con mezzi e finalità efficaci, potrebbe avere risvolti drammatici per la nostra Regione.
Considerando che proprio ieri la Regione Lombardia ha maturato d’allestire un reparto con 600 postazioni di terapia intensiva in un capannone della fiera di Milano, questo dovrebbe farci riflettere sulla gravità della situazione, appurato che il sistema sanitario lombardo, fra i più efficienti d’Europa é al collasso, la nostra situazione come Calabria prima, ed area Jonico Silana in particolare appare catastrofica.
Chiediamoci cosa potrebbe accadere se la domanda sanitaria intensiva fosse superiore ai posti previsti dal piano!
Poniamoci l’interrogativo sulla età media degli abitanti nei comuni di montagna (abitati prevalentemente da persone anziane e pertanto più soggette ai rischi respiratori derivanti dal Covid-19)!
Ebbene considerati questi quesiti, va da sé che andrebbero predisposte delle postazioni intensive e sub-intensive nei succitati presidi, nonché l’utilizzo di reparti vuoti da adibire a quarantena per gli eventuali contagiati che non richiederanno l’utilizzo dei respiratori, ma dovranno necessariamente essere isolati rispetto agli altri, alfine di bloccare la propagazione del virus che come stiamo vedendo dal susseguirsi delle notizie sui vari mezzi di comunicazione aggredisce in maniera letale soprattutto le persone più anziane e già portatori di patologie.
Pensiamo ora a come poter preservare le aree interne dello Jonio, pensiamo ora a come proteggere la Sila Greca, utilizzando ed ottimizzando le due strutture di Acri e San Giovanni in Fiore, nonché il relativo ambito dei due comuni che assommano con le relative contermini comunità ad oltre 60mila cittadini, prevalentemente in età adulta.
Organizziamo una rete sanitaria che in tutta l’area della Jonio Magnogreco possa dare risposte e preservare il più possibile il diffondersi del contagio.
Utilizziamo le strutture dismesse (ne abbiamo tante, basti pensare all’hospice di Cassano, ai presidi di Trebisacce e Cariati, al mai partito ospedale di Campizzi, più ad una serie di luoghi pensati per strutture non sanitarie, ma che potrebbero essere utili come luoghi in cui adibire reparti di quarantena assistita) e sopratutto non dimentichiamo i presidi di Montagna.
Tutto ciò che non sarà oggi pensato, potrebbe rivelarsi come un rimpianto domani.
E si sa, è meglio avere rimorsi, ma non avere rimpianti.
L’area della Magna Graecia ha già pagato un caro prezzo in termini di prestazioni sanitarie, facciamo di necessità virtù e potenziamo nel migliore dei modi ciò che ancora abbiamo, senza creare luoghi privilegiati e altri meno fortunati.

Domenico Mazza

Redazione Comitato MagnaGraecia