Corigliano-Rossano, Lauria: “Città incompiuta. Lo sport resta un muro

Corigliano-Rossano, Lauria: “Città incompiuta. Lo sport resta un muro

Corigliano e Rossano, fuse oggi in un unico Comune, continuano a camminare su strade parallele

C’è una verità semplice che in molti fanno finta di non vedere: Corigliano e Rossano, fuse oggi in un unico Comune, continuano a camminare su strade parallele. La firma della fusione ha prodotto un atto amministrativo, ha dato alla Calabria una nuova città di 80mila abitanti, ma non ha ancora creato un popolo unitario. È come avere un vestito nuovo cucito su misura e continuare a indossare quello vecchio: la stoffa è pronta, ma non la si indossa con convinzione. L’esperienza insegna che i processi di amalgama sono lunghi, spesso dolorosi. Non si tratta solo di unire bilanci, uffici, servizi. Si tratta di mettere insieme orgogli, storie, identità. E questo, a Corigliano e a Rossano, è ancora un percorso appena avviato.

Una lentezza storica

Il caso di Lamezia Terme lo dimostra: lì tre comunità hanno deciso di unirsi oltre cinquant’anni fa. Ancora oggi non tutti i cittadini si riconoscono davvero in un’unica identità. Eppure Lamezia è diventata, nel tempo, un punto di riferimento regionale. Ha un aeroporto, ha conquistato un ruolo centrale nella geografia calabrese. Non è stato facile né indolore, ma il risultato è sotto gli occhi di chiunque osservi la mappa economica e infrastrutturale della regione. Corigliano Rossano, se vuole davvero percorrere quella strada, deve imparare la lezione: la fusione è solo l’inizio. Il resto lo fanno le generazioni, la quotidianità, i simboli condivisi.

I vantaggi della fusione

A livello amministrativo, i benefici sono già concreti. Una città di 80000 abitanti può ambire a fondi comunitari più consistenti, può contare su un peso politico superiore, può attirare investimenti con più credibilità. Non è un caso se negli ultimi anni, in tavoli importanti, si è discusso di candidature espressione di questa città. La fusione ha reso Corigliano Rossano visibile a chi la vedeva come singole entità. Oggi la città è meno periferia e rappresenta la terza città della Calabria. Questo non è poco, soprattutto in un contesto dove i numeri contano più delle ragioni sentimentali.

Il nodo sociale

Eppure, se si guarda dentro il tessuto della comunità, i segnali sono meno incoraggianti. L’unione resta fragile, spesso ignorata, talvolta addirittura contestata. È come se la gente continuasse a chiedersi: “Chi siamo, noi?”. Il terreno più emblematico di questa esitazione è quello sportivo. Qui le contraddizioni si fanno evidenti. Mentre un piccolo gruppo di appassionati ha avuto l’intuito di fondare una squadra unica, ripartendo dalla Prima Categoria, le vecchie realtà continuano a esistere e a dividersi. Rossanese in Eccellenza, Corigliano in Promozione, tifoserie separate, campi che diventano arene di identità contrapposte. Il 7 settembre ci sarà quello che molti già chiamano “derby”: un incontro di Coppa Italia che, invece di essere occasione di festa cittadina, rischia di alimentare nuove divisioni. È un paradosso: la città unica si ritrova a celebrarsi attraverso una sfida interna, quasi a ribadire che l’amalgama è ancora lontana.

Il calcio come specchio

Il calcio, lo sappiamo, non è mai solo sport. È rito collettivo, è linguaggio identitario, è bandiera. Laddove le istituzioni non arrivano, spesso arriva la passione per una maglia. È stato così in molte città italiane: squadre capaci di rappresentare un territorio più di mille comizi. Ecco perché la situazione calcistica di Corigliano Rossano pesa più di quanto sembri. Una sola squadra forte, sostenuta dall’imprenditoria locale e dalle istituzioni, potrebbe aspirare a campionati professionistici. Non è un sogno campato in aria: le condizioni esistono. Basterebbe mettere insieme risorse, coraggio e visione. Un progetto di Serie B, per esempio, non sarebbe solo sport. Vorrebbe dire turismo, indotto economico, visibilità. Vorrebbe dire ripensare a uno stadio centrale capace di ospitare migliaia di persone, trasformare la città in meta di tifoserie, far circolare denaro e opportunità. Sarebbe un passo decisivo verso quell’identità unica che oggi ancora manca.

Divisioni che frenano

Invece, per ora, prevalgono logiche campanilistiche. Le tifoserie si guardano in cagnesco, le società mantengono i propri confini, gli imprenditori esitano a fare squadra. Ciascuno resta aggrappato al proprio pezzo di città, come se cedere qualcosa significasse perdere tutto. Ma senza un progetto unitario, il rischio è di condannarsi alla mediocrità. Continuare a giocare contro squadre di cintura regionale, a disputare tornei minori, significa rinunciare a un ruolo che la città, per dimensione e potenzialità, potrebbe tranquillamente ambire. Non è da terza città della Calabria doversi confrontare con realtà minori.

Il paragone con le grandi città

Chi sostiene che a Roma e Milano convivono due squadre dimentica un dettaglio decisivo: Roma è sempre stata Roma, Milano è sempre stata Milano. Lì le squadre sono figlie di una città già nata, non il contrario. A Corigliano Rossano il processo è inverso: la città non esisteva, è stata creata per legge. Adesso bisogna costruirne l’anima. E se si continua a ragionare in termini di “noi contro loro”, quell’anima non nascerà mai.

Un’occasione politica

Qui entra in gioco la politica. Non si tratta di imporre, ma di guidare. Non basta lasciare che le cose accadano spontaneamente: servono decisioni coraggiose, direzioni chiare, una visione da sostenere con convinzione. La fusione non può restare un atto amministrativo: deve diventare un progetto culturale. Ciò significa investire in eventi comuni, in simboli condivisi, in politiche che mettano al centro la città unica e non le due ex comunità. Significa spingere sull’imprenditoria locale perché abbandoni il calcolo del piccolo orticello e si apra a una prospettiva più grande.

Guardare avanti

Non sarà facile. Non lo è stato altrove, non lo sarà qui. Ma il tempo lavora a favore di chi osa. Se Corigliano Rossano saprà costruire una squadra di calcio unica, o anche di altre discipline (pallavolo o altro) se saprà dare vita a un progetto culturale forte, se saprà creare infrastrutture comuni, allora fra vent’anni nessuno si chiederà più se la fusione sia stata giusta. Lamezia insegna: le resistenze durano decenni, ma l’identità si consolida con i fatti, non con i proclami. Oggi la città calabrese che nacque tra divisioni è diventata riferimento regionale. Perché non dovrebbe accadere anche qui? Ci sono dei simboli che uniscono: pensare a Rino Gattuso, a Daniele Lavia o a Gabriele laurenzano, sono nomi che inorgogliscono sia i coriglianesi sia i rossanesi. E allora coltiviamo questo sentimento, e non già quello della contrapposizione. E a chi tenta di giustificare le divisioni sotto l’ombrello della goliardia o del colore della maglia non è consapevole della responsabilità culturale cui si va incontro.

Matteo Lauria

Redazione Comitato MagnaGraecia