La vera rivoluzione è essere persone perbene
Senza la base dell’onestà e della rettitudine morale, tutto si svuota
C’è un valore che oggi andrebbe rimesso al centro del discorso pubblico, prima ancora dei programmi, delle alleanze, delle strategie e delle promesse: l’onestà. Un valore che sembra scontato, ma che in realtà è diventato raro. Essere persone perbene dovrebbe essere la prima condizione per chi decide di impegnarsi in politica. Non una qualità accessoria, ma il requisito minimo. Eppure, sembra quasi un dettaglio. Si parla di consenso, di relazioni sociali, di radicamento sul territorio, di capacità comunicativa, di visione. Tutte cose importanti, certo. Ma senza la base dell’onestà e della rettitudine morale, tutto si svuota. E si svuota anche l’autorevolezza. Perché se non c’è questa impalcatura solida, entra la corruzione — quella dei soldi, ma anche quella più sottile, delle coscienze. Quella che trasforma il servizio pubblico in un affare privato, la responsabilità in opportunismo, la politica in commercio di favori. E da lì parte la catena che conosciamo: tangenti, appalti truccati, opere pubbliche che si bloccano o si fanno male, raccomandazioni, clientele. È la corruzione che non si vede subito, ma che lentamente corrode tutto: la fiducia, la speranza, la credibilità delle istituzioni.
La grande contraddizione
Viviamo un tempo pieno di contraddizioni. Da un lato, condanniamo i partiti che non rappresentano più nessuno, denunciamo i favoritismi, i voti di scambio, le logiche del potere. Dall’altro, però, continuiamo a premiare con i voti gli stessi meccanismi che critichiamo. E allora la domanda è: di cosa ci lamentiamo, davvero? Non si può invocare il cambiamento e poi sostenere chi incarna le stesse logiche che si dice di voler combattere. Non si può applaudire all’onestà e poi voltarsi dall’altra parte quando l’amico, il conoscente, il politico “che mi ha fatto un favore” cerca il nostro voto. C’è una specie di scollamento tra ciò che diciamo e ciò che facciamo, tra la morale che invochiamo e i comportamenti che teniamo. Ed è qui che nasce la crisi vera, quella che non si risolve con una riforma elettorale o una nuova legge. È la crisi della coscienza collettiva.
L’onestà come blindatura
Un tempo, la parola “onestà” bastava a definire un uomo o una donna. Era una garanzia. Oggi, invece, sembra quasi un’etichetta da sbandierare, una parola da campagna elettorale. Ma l’onestà non è uno slogan. È un modo di stare al mondo. È la blindatura morale di chi non cede alle scorciatoie, di chi non si piega al ricatto, di chi non si lascia tentare dal “così fan tutti”. Non è un ideale astratto. È concretezza. Significa non vendere il proprio voto, non chiedere il favore, non aspettare la raccomandazione. Significa lavorare bene anche quando nessuno guarda, anche quando non conviene. È da lì che parte la vera politica. Perché la buona politica nasce sempre da persone perbene. Le idee si possono imparare, i programmi si possono studiare, le strategie si possono copiare. Ma la rettitudine o ce l’hai, o non ce l’hai.
La Calabria e il rischio di restare all’angolo
Questo discorso, in Calabria, pesa il doppio. Perché qui il confine tra il merito e la conoscenza personale, tra il valore e il favore, è sempre stato sottile. Ci sono uomini e donne che lavorano, che resistono, che non cedono ai compromessi. Ma spesso restano ai margini, schiacciati da chi ha imparato meglio l’arte dell’equilibrismo. E allora la regione resta indietro. Non perché manchino le risorse o le idee, ma perché manca una selezione etica della classe dirigente. Siamo pieni di amministratori esperti, di comunicatori abili, di politici che sanno farsi amare. Ma quanti di loro sono disposti a perdere qualcosa pur di non tradire se stessi? La vera forza non è nel consenso, ma nella coerenza. Eppure, continuiamo a giudicare il successo politico solo dai numeri. “Ha preso tanti voti, quindi ha ragione.” Ma quei voti, da dove arrivano? Dalla stima o dal ricatto? Dalla fiducia o dal favore ricevuto? È qui che si gioca la partita. Perché un voto non vale solo per chi lo prende, ma anche per chi lo dà.
La politica come specchio della società
C’è chi dice: “La politica è marcia.” Ma la politica non cade dal cielo. È lo specchio della società che la esprime. Se i partiti sono pieni di opportunisti, è perché gli opportunisti trovano spazio. Se i corrotti vengono rieletti, è perché qualcuno li vota. E se le persone perbene si tengono ai margini, è perché spesso sono proprio loro a sentirsi fuori posto. Invece, dovrebbero essere al centro. Perché solo chi vive con onestà può amministrare con onestà. Solo chi conosce la fatica del lavoro e il rispetto delle regole può capire davvero cosa significa governare una comunità. C’è poi un altro aspetto, più sottile ma non meno pericoloso: la ricerca costante di consenso immediato, di approvazione, di visibilità. Una corsa al “mi piace” che svuota i contenuti. Politici che cambiano idea in base al vento, candidati che costruiscono la propria immagine come se fosse un profilo social, slogan che durano il tempo di un post. La politica non è un concorso di popolarità. È una responsabilità verso gli altri, verso la comunità. E chi si propone per guidare gli altri deve prima saper guidare se stesso.
Ricominciare dalle persone perbene
Non servono eroi, serve normalità. Serve tornare a considerare l’onestà una virtù ordinaria, non un’eccezione. Serve imparare di nuovo a fidarsi di chi non urla, di chi non promette miracoli, di chi lavora in silenzio. Serve pretendere che chi chiede il voto abbia una storia pulita, non una faccia pulita. Che abbia coerenza, non solo eloquenza. Che sappia dire dei no, non solo dei sì. E serve che ciascuno, nel proprio piccolo, smetta di aspettare che “qualcuno faccia pulizia”. Perché la pulizia morale non comincia nei palazzi, comincia nei comportamenti quotidiani. Nel rifiuto di accettare compromessi, nel coraggio di denunciare, nel non voltarsi dall’altra parte.
Una questione di coscienza
L’onestà non è solo un valore politico, è una questione di coscienza personale. Non c’è legge che possa imporla, non c’è codice etico che basti. È una scelta, ogni giorno. E come tutte le scelte, ha un prezzo. Ma quel prezzo, a lungo andare, è l’unico che vale la pena pagare. Perché senza persone perbene non c’è sviluppo, non c’è fiducia, non c’è futuro. Ci sarà solo una lunga sopravvivenza, fatta di compromessi, di furbizie, di mediocrità. E la Calabria, come tante altre regioni d’Italia, non può più permetterselo. Ha bisogno di fermezza, di schiena dritta, di gente che non si vende. Ha bisogno di cittadini prima che di elettori, di esempi prima che di slogan.
La medaglia dell’onestà
Essere persone perbene, oggi, è come portare una medaglia sul petto. Non una medaglia di vanità, ma di resistenza. Resistenza alla corruzione, al disincanto, alla rassegnazione. La politica non si risana con nuovi nomi, ma con vecchi valori. E il primo di tutti è questo: essere onesti. Senza onestà non c’è giustizia, non c’è crescita, non c’è comunità. Forse è da qui che bisogna ripartire. Da una regola semplice, antica, che non ha bisogno di essere riscritta: le persone per bene devono andare avanti. Sempre. Anche nei comizi elettorali si è perso il pathos di un tempo: gli applausi sembrano di plastica, forzati. E quando scoppiano, è per una frase ad effetto, non per un pensiero alto capace di smuovere le coscienze o di cambiare la società di oggi.
Matteo Lauria